Rafforzamento della presunzione di innocenza art. 2 d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188
Con l’entrata in vigore il 14 dicembre 2021 del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, finalmente il legislatore ha adeguato la normativa nazionale rafforzando alcuni aspetti della presunzione di innocenza, come richiesto dalla Direttiva 2016/343/UE del 9 marzo 2016.
Sebbene il termine per il recepimento della Direttiva fosse il 1° aprile 2018 il Governo italiano, ritenendo la legislazione interna già conforme agli standards minimi richiesti, non aveva provveduto ad alcun adeguamento in tal senso.
Il timore di incorrere in possibili sanzioni, successivo alla pubblicazione della Relazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio sull’attuazione dell’indicata Direttiva, ha condotto il Governo a tornare sui suoi passi ed ad emettere l’indicato provvedimento rivolto esclusivamente alle sole «persone fisiche sottoposte a indagini o imputate in un procedimento penale».
L’art. 2 dispone che «è fatto divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili».
La violazione di quanto sopra da parte dell’autorità pubblica, da intendersi non solo il magistrato, ma anche qualsiasi autorità investita di potestà pubblicistiche (dai funzionari pubblici e agli esponenti della politica) in caso di esternazioni sulle indagini in corso nelle quali un indagato venga additato come colpevole, quest’ultimo oltre ad avere diritto al risarcimento del danno, può chiedere la rettifica della dichiarazione e, in caso di inottemperanza dell’autorità, può agire ex art. 700 c.p.c., chiedendo al tribunale di disporre la pubblicazione della rettifica.
Detto articolo, dispone, infine che i rapporti con gli organi di informazione siano gestiti esclusivamente dal procuratore della Repubblica o da un magistrato dell’ufficio appositamente delegato.
Dunque, se ora i funzionari pubblici e gli esponenti della politica non potranno più fare esternazioni sulle indagini in corso riferendosi ad un indagato, nulla lo vieta ai privati ed in particolare agli organi di informazione, pertanto, il decreto non inciderà direttamente sul fenomeno dei processi mediatici, che spesso travolgono la dignità e la reputazione dell’imputato a prescindere dalla condanna.
Ciò chiarito, l’art. 2 si sviluppa in successivi quattro commi volti a disciplinare organicamente l’iter da seguire in caso di violazione della regola generale di cui si è detto poc’anzi.
L’art. 3 del nuovo decreto, invece, aggiunge che la diffusione di notizie potrà avvenire esclusivamente attraverso comunicati ufficiali o tramite conferenze stampa a condizione che «risulti strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini» o ricorrano «altre specifiche ragioni di interesse pubblico».
La decisione di procedere a conferenza stampa dovrà essere assunta con atto motivato «in ordine alle specifiche ragioni di pubblico interesse che la giustificano».
Gli ufficiali di polizia giudiziaria potranno fornire informazioni sugli atti di indagine compiuti solo se autorizzati dal procuratore con atto motivato.
Oltre alle forme indicate non è consentito dare notizie ai cronisti.
Le informazioni dovranno essere diramate in modo che la persona sottoposta ad indagini o imputata non sia indicata come colpevole fino a quando la colpevolezza non sia stata definitivamente accertata. I comunicati stampa e nelle conferenze, infine, non potranno più assegnare denominazioni lesive, nomignoli denigratori o appellativi dal tenore colpevolista ai procedimenti pendenti.
Tutto ciò potrebbe comportare per i giornalisti un maggiore rischio di incorrere in azioni legali.
Si osserva che il nuovo decreto in realtà non ha apportato radicali novità rispetto a quanto era già stabilito dall’art. 5 del d.lgs. n. 106/2006 ed è criticabile, inoltre, la scelta di dover presentare l’istanza di risarcimento del danno, nonché la rettifica, allo stesso organo che ha reso la dichiarazione lesiva, nonché di legittimare le conferenze stampa e quella di lasciare un eccessivo margine di discrezionalità ai procuratori i quali possono consentire la diffusione delle informazioni sul generico presupposto delle “ragioni di interesse pubblico”.
In conclusione, sebbene gli artt. 114 e 329 c.p.p. siano già finalizzati a impedire la divulgazione di notizie atte a procurare nocumento alle indagini in corso ed al contempo ad evitare che il giudice del dibattimento possa essere influenzato nella propria decisione, di fatto l’art. 5 d. lgs. n. 106/2006 fino ad oggi è rimasto sinora lettera morta, infatti, la sua originaria ratio, che era quella di precisare le regole di condotta all’interno degli uffici del pubblico ministero nel rispetto dei rapporti gerarchici, non ha avuto effettivo riscontro. Il nuovo decreto è il segno di un cambiamento per la tutela la persona indagata o imputata.
Per la prima volta, viene sancito il diritto dell’indagato a non subire la spettacolarizzazione dell’indagine dai giornali e dai mass-media che, di per sé, lede la reputazione e compromette la serenità della persona, ma anche quella della difesa.
Il provvedimento, quindi, rappresenta sicuramente un passo in avanti verso la concreta attuazione del principio della presunzione d’innocenza, non solo europeo ma anche costituzionale, ma non può essere di per sé satisfattivo.