Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 6599/21
Coltivare undici piantine di canapa tra le mura domestiche è condotta che, secondo i Giudici, non merita sanzione penale.
Legittimo, difatti, parlare di coltura domestica, per nulla organizzata, poco produttiva, e comunque destinata solo a soddisfare il bisogno personale del coltivatore.
A finire sotto accusa è un uomo, beccato non solo ad avere con sé alcune dosi di hashish ma anche a coltivare a casa alcune piante di canapa.
In secondo grado la posizione dell’uomo si fa meno delicata. Cade, difatti, la contestazione relativa al «reato di detenzione a fini di cessione di alcune dosi di sostanza stupefacente tipo hashish». Viene confermata invece la condanna per «coltivazione di undici piante di canapa, le cui foglie e infiorescenze risultavano del peso complessivo pari a oltre 16 grammi con principio attivo pari a 102 milligrammi, dal quale erano ricavabili, secondo i parametri tabellari, due dosi di sostanza stupefacente». E la pena viene fissata in Appello in «tre mesi di reclusione e 600 euro di multa».
Secondo il difensore dell’imputato, però, va messa in discussione anche la condanna per la acclarata coltivazione di piantine di canapa.
Così, col ricorso in Cassazione, il legale parla di «erronea applicazione della legge penale» poiché i Giudici di secondo grado «non hanno verificato e valutato la ricorrenza della offensività in concreto della condotta», soprattutto tenendo presenti «l’intervenuta assoluzione dal reato di detenzione», la mancanza di prove sulla «finalità di spaccio» e, infine, «le concrete modalità della coltivazione e il numero di piante» presenti nell’appartamento dell’uomo.
Prima di esaminare i dettagli della vicenda, i Giudici della Cassazione pongono in evidenza che, alla fine di una complessa evoluzione, si è fissata «una graduazione della risposta punitiva rispetto all’attività di coltivazione di piante stupefacenti, nelle sue diverse accezioni: a) devono considerarsi lecite la coltivazione domestica, a fine di autoconsumo per mancanza di tipicità, nonché la coltivazione industriale che, all’esito del completo processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente, per mancanza di offensività in concreto; b) la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita, rimane soggetta al regime sanzionatorio amministrativo dell’art. 75 del d.P.R. n. 309/1990; c) alla coltivazione penalmente illecita restano comunque applicabili l’art. 131-bis c.p, qualora sussistano i presupposti per ritenerne la particolare tenuità, nonché, in via gradata, l’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990, qualora sussistano i presupposti per ritenere la minore gravità del fatto».
In questo caso specifico, osservano i Giudici, si deve logicamente parlare di «coltivazione domestica», preso atto delle concrete modalità del fatto, ossia «piante coltivate in vasi, all’interno dell’abitazione, senza la predisposizione di particolari cautele per rafforzarne la produzione, quali la predisposizione di un impianto di irrigazione o di illuminazione; numero davvero modesto di piante (undici) che, in relazione al grado di sviluppo raggiunto, hanno consentito la estrazione di un quantitativo minimo di sostanze stupefacente ragionevolmente destinata all’uso personale». Peraltro, «non è stato provato l’inserimento dell’uomo in un contesto di spaccio».
Tutti gli elementi a disposizione, quindi, sono sufficienti, secondo la Cassazione, per far cadere definitivamente anche l’accusa relativa alla coltivazione di stupefacenti.
Fonte Diritto e Giustizia – Quotidiano di Informazione Giuridica