(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 22074/20; depositata il 13 ottobre)
Sconto di favore al cliente abituale del supermercato.
La decisione presa dal gestore della singola struttura non può essere utilizzata dai vertici della società proprietaria della catena di punti vendita per legittimare il licenziamento del lavoratore.
Ricostruita la vicenda, i giudici di merito ritengono priva di fondamento l’azione compiuta dalla società datrice di lavoro e culminata nel licenziamento del lavoratore a cui era stata affidata la gestione di un supermercato.
A carico del dipendente una condotta censurata dall’azienda, ossia «avere venduto a un importante cliente, in tre occasioni diverse nel dicembre del 2015, alcune bottiglie di spumante ad un prezzo inferiore a quello di vendita al pubblico».
Per i giudici di secondo grado, però, bisogna tener presente che «gli sconti non erano stati applicati in favore di un conoscente del lavoratore, bensì in favore di un cliente storico della società, cliente che ogni anno, nel periodo natalizio, era solito effettuare acquisti presso il supermercato per i regali d’uso aziendale». E questa constatazione è ritenuta decisiva, poiché «praticare uno sconto ad un cliente importante della società, il quale ha in precedenza fatto acquisti rilevanti presso il medesimo ‘punto vendita’, rientra nei poteri del lavoratore, inquadrato nel primo livello contrattuale, ed è un’operazione compiuta nell’esclusivo interesse del datore di lavoro».
In aggiunta, poi, va rilevato, spiegano i giudici, che «dalle operazioni di vendita con applicazione dello sconto il lavoratore non ha riportato alcun vantaggio personale né lo ha procurato ad un proprio conoscente, come invece contestato nella lettera di addebito». In questa ottica è anche significativo che «il dipendente non ha in alcun modo occultato la propria condotta, avendo registrato correttamente tutte le operazioni contabili oggetto della contestazione disciplinare» e che «dopo la vendita l’operato del gerente è stato ratificato dal dirigente, che ha autorizzato l’applicazione dei minori prezzi di vendita dello spumante».
Tirando le somme, per i giudici d’appello non vi è stato alcun «fatto illecito», e ciò significa che «il licenziamento è illegittimo» e il dipendente ha il diritto ad «essere reintegrato nel posto di lavoro».