Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 22873/20, depositata il 21 ottobre 2020
In tema di protezione internazionale, la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato politico non può essere rifiutata nel caso in cui l’istante rifiuti di prestare il servizio militare nello Stato di origine, ove l’arruolamento comporti il rischio di un coinvolgimento, anche solo indiretto, in un conflitto caratterizzato dalla commissione, o dall’alta probabilità di essa, di crimini di guerra e contro l’umanità. La sanzione penale prevista dall’ordinamento straniero per tale rifiuto, costituisce infatti atto di persecuzione ai sensi del d.lgs. n. 251/2007, art. 7, comma 2, lett. e) e dell’art. 9, par. 2, lett. e), della direttiva n. 2004/83/CE, come interpretato da C.G.U.E., 26 febbraio 2015, (causa C-472/13, Sheperd contro Germania.
Un cittadino ucraino chiedeva alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale nella forma dello status di rifugiato politico, in subordine di protezione sussidiaria ex art. 14 d.lgs. n. 251/2007 e in via ulteriormente subordinata la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex art. 5, comma 6, d.lgs. n. 286/1998. Il ricorrente sosteneva di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere costretto ad arruolarsi durante una guerra in cui venivano commesse gravi violazioni dei diritti umani. L’istanza veniva rigettata dalla Commissione territoriale e la decisione veniva confermata sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello. La questione è dunque giunta all’attenzione della Suprema Corte.
Per quanto di interesse, il ricorrente lamenta il fatto che i Giudici di merito abbiano escluso la sussistenza di un effettivo rischio di persecuzione in caso di rimpatrio, sulla base di informazioni non aggiornate circa la situazione sussistente nel Paese d’origine. Era inoltre stato omesso il dato relativo alla qualifica di riservista dell’esercito sulla cui base era probabile un richiamo alle armi in caso di rimpatrio.
Il ricorso si è rivelato fondato per i motivi indicati nel paragrafo di cui sopra è da cui è stata tratta la massima del provvedimento.
Nel caso di specie, la motivazione della decisione impugnata si rivela incongruente nella parte in cui ha totalmente trascurato di considerare la plausibile o prevedibile sottoposizione del ricorrente, in caso di rimpatrio, ad un procedimento penale che, in ragione del rischio di un coinvolgimento anche solo indiretto in un conflitto caratterizzato dalla commissione o dall’alta probabilità di crimini di guerra e contro l’umanità, prevedrebbe una sanzione che costituisce di per sé un atto di persecuzione ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. e), d.lgs. n. 251/2007.